La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme, articolo 35 Costituzione della Repubblica Italiana.
I Padri Costituenti ritenevano il diritto al lavoro un diritto fondamentale, di quelli che i filosofi amano definire immanenti per l’uomo, e che dunque sono connaturati allo stesso.
Troppo spesso, tuttavia, le ottimistiche previsione dell’Italia democratica post bellica, si infrangono in innumerevoli abusi che reciprocamente si rivolgono lavoratore e datore di lavoro.
La più ampia casistica vuole che siano i lavoratori a rivolgersi per primo ad un legale specializzato in diritto di lavoro, per far valere le proprie pretese, a fronte di comportamenti illegittimi posti in essere dal datore di lavoro.
Nel rapporto contrattuale, infatti, il datore di lavoro assume un posizione dominante. Storicamente viene dipinto come il “padrone” il “capo”, dunque economicamente avvantaggiato rispetto al lavoratore, che vive di stipendio e per mantenere l’impiego sopporta silenziosamente gli eccessi del datore di lavoro.
L’ultimo periodo storico, complice anche la grave crisi economica globale, è stato interessato da un’inversione di marcia, un cambio di tendenza.
Infatti, mentre il lavoratore – soggetto debole – ha trovato riparo nella copiosa legislazione in materia di lavoro e negli enti di tutela, il datore di lavoro è rimasto solo, e quella Repubblica che recitava l’articolo 4 della Costituzione, è rimasta sorda, come una vecchia signora, alle richieste di aiuto dei datori di lavoro.
In entrambi i casi, quando viene leso questo fondamentale diritto, sarebbe saggio rivolgersi ad un avvocato competente in diritto del lavoro.
I sindacati ed i patronati, sebbene forniscano adeguato supporto al lavoratore, non possono sostituire un avvocato.
Avvocato del Lavoro
Dal momento in cui ci mettiamo in contatto con un Avvocato del Lavoro, si avvicendano diverse fasi di lavoro, in parte svolte congiuntamente.
È infatti buona norma che il cliente rappresenti il rapporto di lavoro, dal nascere sino alle criticità che lo hanno spinto a rivolgersi ad un avvocato, supportando tali dati attraverso tutta la documentazione in suo possesso.
Il cliente spesso ha coscienza del fatto che il rapporto di lavoro sia giunto al capolinea, ma spesso non è del tutto consapevole di quali e quanti diritti siano stati violati.
Sarà cura del professionista verificare che il fatto o i fatti, così rappresentati, integrino una determinata fattispecie legale, quanti e quali diritti siano stati violati.
Ben potrebbe accadere, invece, che il cliente si rivolga al professionista per essere difeso da pretese che, almeno apparentemente risultano infondate.
In entrambi i casi l’Avvocato valuta in base a quanto evidenziato dal cliente, dal suo racconto.
1. Analisi della documentazione
Viene valutata la documentazione prodotta, chiedendone integrazione se del caso o scartando quanto superfluo.
Ottimi spunti di valutazione sono forniti anche mediante l’indicazione di altri soggetti coinvolti o informati, soggetti che possano sostenere l’eventuale strategia difensiva.
2. Studio del caso specifico
La seconda fase della sua attività sarà dedicata allo studio degli elementi riportati dal cliente, tenendo conto non solo della normativa di legge, ma anche della casistica giurisprudenziale, in modo da poter valutare le possibilità di successo di un’eventuale azione legale.
Una volta valutata la violazione del diritto, inizia la terza fase: il contatto con la controparte, che solitamente avviene per mezzo di lettera raccomandata.
3. Trattativa o Causa?
Stabilito il contatto, inizia una fase di trattative, in modo da poter scongiurare le lungaggini giudiziali, e solo ove tale tentativo di conciliazione sia stato vanamente esperito, l’avvocato provvederà ad adire la competente Autorità Giudiziaria.
Ai fini di una soddisfacente attività conciliativa, il cliente deve essere sempre, costantemente informato dell’evolversi delle trattative, in modo da poter valutare, con il supporto del proprio legale, la convenienza o meno delle offerte rivolte dalla controparte.
Il rapporto di lavoro richiede per sua stessa natura la compresenza di due parti tra loro in posizioni non paritarie: il datore di lavoro ed il lavoratore.
Il datore di lavoro è il titolare del rapporto con il lavoratore, colui che nell’organizzazione dell’attività d’impresa si serve della “forza lavoro”, al fine di realizzare quella produzione o scambio di beni e servizi cui è rivolta la propria attività.
Il lavoratore è invece colui che, mediante l’apporto di un’attività, fisica o intellettuale, contribuisce all’attività di impresa.
Entrambi i soggetti sono titolari di diritti ed obblighi, ben individuati dalle norme del codice civile e dalla normativa del lavoro, in modo da poter creare un equilibrio tra le due figure, nonostante il loro naturale sbilanciamento.
Il datore di lavoro è infatti il soggetto economicamente più avvantaggiato.
La disponibilità economica, la capacità di spesa del lavoratore, dipendono dalla puntualità dei pagamenti dello stipendio da parte del datore di lavoro.
Facile intuire che nel caso di mancati o tardivi pagamenti, il lavoratore possa ritrovarsi in uno stato critico, tale da non poter neanche sostenere le spese legali necessarie all’instaurarsi di un giudizio volto all’accertamento della lesione del diritto.
Inoltre, il matematico eccessivo protrarsi delle cause – non solo quelle di lavoro – aggraverebbe ulteriormente la posizione di sofferenza del lavoratore.
Per questi motivi, spesso, i contenziosi in materia, si arrestano alla fase conciliativa, che permette al lavoratore subordinato di ricevere pagamenti, solitamente inferiori alle aspettative, ma immediati: pochi, maledetti e subito.
Vale però la pena evidenziare che ultimamente, sempre più spesso, la parte debole del rapporto risulta essere il datore di lavoro.
Gli imprenditori sono attualmente esposti ad una tassazione eccessiva a fronte di un potenziale azzeramento dei consumi.
Spesso costretti a dilazionare il pagamento degli stipendi, a ridurre orari di lavoro e ad esperire procedure di licenziamento.
In questo ambito, il datore di lavoro, nonostante la propria posizione risulti, almeno sulla carta, una posizione forte, nella realtà dei fatti non riceve dallo stato una tutela adeguata, come quella che nel corso degli anni è stata accordata, grazie anche alle lotte sindacali, ai lavoratori subordinati.